Se sentite ruggire dentro di voi il richiamo della natura è il momento di partire...
Se svegliarsi prima dell'alba quando è ancora buio, se soffrire l'assenza di copertura del cellulare, se dormire in tenda e viaggiare su una jeep lungo strisce di terra generosamente definite strade, sono per voi sacrifici insormontabili, allora potete anche decidere di non andare in Botswana. Ma se invece sentite ruggire dentro di voi il richiamo della natura è il momento di partire.
E’ bastato saltare a bordo di una jeep, appositamente attrezzata per i safari, con al volante una guida esperta, con un rimorchio agganciato (perché da qualche parte le tende e i generi di conforto bisognerà pur metterli) e via. Si fa tappa in aree riservate all'interno di parchi e riserve, lungo il fiume o in una radura e, se non si vede nessuno nei paraggi, è perché l'area è tutta per noi. Una volta giunti a destinazione, il rimorchio viene sganciato e più collaboratori (simili ai folletti delle fiabe) iniziano a montare il campo. Nel frattempo si rimonta sulla jeep e si comincia a fare la conoscenza di elefanti, giraffe e leoni. Quando poi si ritorna, al tramonto, il campo è pronto. Sulla destra, la zona notte: ognuno ha la sua tenda con due lettini, sul retro un lavandino e, poco discosto, un piccolo wc da campo, dall'aria estremamente discreta. In alto, una geniale doccia da campo, pronta tutte le sere con acqua calda. Di fronte una tavola apparecchiata, calici di vetro e vino sudafricano. La cucina è espressa e ogni sera un menu diverso con carne o pesce, verdure, frutta e anche il dolce. Ma prima ancora ci si siede accanto al fuoco; chiudi gli occhi per abbandonarsi a una celestiale felicità, ripensando alla giornata appena trascorsa.
Durante la notte può capitare che i richiami dei predatori mettano i brividi e trascorrerla in una tenda tra ippopotami, elefanti, leoni, sciacalli e iene è una esperienza unica nel suo genere. Dopo la prima notte passata con l’orecchio teso ad ascoltare tutti i rumori dell’intensa vita notturna dell’Africa selvaggia, le altre non si fatica più a prendere sonno.
Un safari come si comanda comincia presto perché gli animali vanno scovati e qualche volta i trasferimenti sono lunghi. Sappiamo tutti che da quest’avventura occorre necessariamente ritornare con il carniere fotografico pieno. Un tempo i safari erano di caccia grossa; oggi la preda più ambita è il momento, lo scatto rubato, l’animale congelato. Non si misura più la lunghezza di corna o la bellezza di un mantello, si misura la luce, l’esposizione e soprattutto l’attimo, l’inquadratura perfetta che spesso trasforma il semplice leone in una sfinge nel sole del pomeriggio o un elefante in un’emozione di adrenalina.
Si esce all’alba e l’autista spiega che si sono visti leoni in quel certo posto. Oppure ippopotami nella tal laguna. O zebre e iene nella radura a sud. Si va; scossoni, polvere, un freddo gelido fino a quando non spunta il sole. E’ così che funziona. Ma l’alba è uno dei momenti da non perdere. Un sole enorme si alza e illumina in controluce quei pochi alberi spogli all’orizzonte. Sarà anche l’immagine più classica della savana ma resta di un fascino unico. Quando il sole è alto sull’orizzonte è come se si fosse accesa una grande stufa. Via la giacca a vento, via il maglione, si rimane in maglietta e cappellino da boy scout. Qualche volta si è fortunati, qualche volta le “prede” ci fanno sudare. Occorre scovarle, inseguirle, giocare d’astuzia, capire le tracce.
Capita anche di ritrovarsi in una radura tra gli alberi e sentire un rumore sordo e subito dopo imbattersi in un branco di elefanti diretti chissà dove, con il solito giovane maschio che si ferma incuriosito. Capita di incontrare un leopardo che stava facendo la siesta all’ombra di un albero, capita che si disturbi il pascolo di una famiglia di impala e li vedi scappare danzando. Capita di veder atterrare con una manovra da manuale una coppia di aquila pescatrice. Capita anche di avere la sensazione di essere osservato, guardi un po’ verso il cielo e vedi tre giraffe, o che ci si ritrovi circondati da una mandria di zebre. Capita di vedere due leonesse con i piccoli che sbadigliano, un rarissimo licaone, un leopardo curioso, un paio di iene affamate. Poi c’è la macchina fotografica, capace di catturare ricordi, con il protagonista indiscusso: il teleobiettivo. Il più potente possibile e il più luminoso possibile, il più gigantesco possibile.
Grazie Davide Pienezze, indiscusso professionista, che hai reso possibile tutto questo.
Lillo